I nuovi obiettivi per l’impresa contemporanea
Imparare a conoscere le potenzialità e le possibilità offerte dalla rete globale, per migliorare il modo in cui dialogare con gli utenti, adattando via via il proprio sito con contenuti e modelli di vendita migliori, più validi e performanti.
Un obiettivo da raggiungere per implementare il proprio business, in particolare per tutte le aziende che non hanno ancora imparato a sfruttare appieno le potenzialità del web. Essere presenti sulla rete in maniera efficace, presidiare il mercato digitale e non perdere occasioni di guadagno e crescita. Sono le sfide della globalità digitale di oggi, alle quali nessuno può farsi trovare impreparato.
Una guida, un vademecum, una bussola per le aziende che hanno questa necessità: questo è l’obiettivo che si pone Customer Mindset.
Una sorta di motore di ricerca cartaceo, da tenere nel primo cassetto della scrivania e riprendere in mano ogni volta che occorra per definire la migliore strategia di mercato. Customer Mindset è un approccio multidisciplinare allo studio degli utenti e al web-marketing cognitivo. È una guida completa per capire e trovare i clienti, elaborare la strategia migliore, studiare la psicologia del consumo digitale e le principali teorie cognitive.
L’improvvisazione? Controproducente
Perché non esiste una strategia di mercato valida per tutti, ma ne esistono tante.
La verità, purtroppo, è che le piccole e medie imprese in Italia non hanno uffici proposti per il marketing, quindi si improvvisa. Io credo invece che un approccio ragionato, che presuppone conoscenza dei clienti, possa essere più efficace.
Le persone cambiano in base ai prodotti che si vendono, cambiano i territori di riferimento: quindi non si può oggettivare una sola strategia, ma bisogna calarla nel contesto.
Per questo esprimo una considerazione: ognuno capisce quali possono essere le proprie convenienze economiche, e in base a ciò, si decide una strategia per promuovere un prodotto o un servizio.
Ma bisogna comunque conoscere l’interlocutore: molti si cimentano nel commercio ma non si chiedono a cosa serva il prodotto e perché le persone dovrebbero comprarlo da loro e non da un altro.
Il consumatore è cambiato
Il passaggio da fare è quello di capire i freddi dati: dai numeri, trarre ambizioni e aspirazioni del cliente, e magari delineare delle tendenze. Le aziende italiane sono pronte a fare questo passaggio?
«Nessuno si preoccupa più di tanto degli utenti: l’analisi di mercato così come viene fatta oggi, è solo tecnica di matrice economica. Quello che cerco di fare, è portare lo studio delle persone all’interno di questi processi: ci sono gli analisti che indagano gli utenti, ma con metodiche obsolete. Il consumatore digitale è sofisticato, rispetto al passato le cose ce le cerchiamo da soli: oggi chiunque è in grado di comparare i prezzi sul web, di conseguenza un’azienda deve essere attenta a capire qual è il valore che deve tirare fuori. Deve vendere soluzioni, prima ancora che oggetti. E le aziende italiane, purtroppo, non sono ancora in grado di compiere questo passaggio».
«Manca una conoscenza approfondita del ruolo del consumatore, tante aziende non hanno nemmeno capito quale social cavalcare, su quali motori di ricerca puntare. Le imprese non sanno esattamente cosa devono fare e si affidano al primo che capita, perdendo solo tempo: e nel frattempo, si sono persi clienti e in generale fette di mercato difficili da recuperare. Chi governa le aziende dovrebbe immedesimarsi nel ruolo dell’utente, mettersi dall’altro lato della barricata».
Una nuova cultura digitale
A che punto è l’Italia, ed in particolare il Sud, da questo punto di vista?
«Noi stiamo a zero: abbiamo una classe imprenditoriale impreparata, non abbiamo maturata esperienza “corporate”. Come corollario, molti imprenditori sono di derivazione familiare, non si è ancora formata una cultura digitale nel Sud: a parte alcuni professionisti validi, non si può sempre andare a combattere nelle aziende. Tutte cose che invece al Nord non esistono: lì c’è già esperienza, si lavora su un vocabolario comune, da noi trovi imprenditori che danno 50 euro in mano al giovane social media manager senza capire l’importanza della cosa. La mia ricetta per l’imprenditore è semplice: deve mettersi a studiare, se vuole avere successo del web. Devono essere loro i primi a capire di cosa stiamo parlando, in modo da dare il giusto valore al web marketing e affidarsi a qualcuno con consapevolezza».
Chi sfrutta le potenzialità del web
«Quelle che già lavorano con aziende estere, che hanno un mercato diffuso, che si confrontano con partner diversi. Viceversa, le aziende che hanno un’audience territoriale, hanno molta difficoltà a capire. Di conseguenza, restano immobili e scompaiono lentamente, perché il mercato se le mangia. Per fortuna ci sono anche quelle che invece fanno passi avanti grazie alle nuove generazioni.
«È un processo delicato: bisogna capire cosa si vuole comunicare. Oggi c ‘è tanta concorrenza, la gente sa valutare la convenienza, “i fatti nostri ce li sappiamo vedere in tutto”. Il consumatore indaga, vuole essere consapevole, e le aziende devono capire cosa spinge l’utente, perché ti ha scelto e quali sono i punti di forza.
Purtroppo, le aziende nostrane si innamorano del proprio prodotto, ma devono invece interfacciarsi con l’utenza e capire se quel determinato prodotto vada bene innanzi tutto ai clienti, non a sé stessi.
Serve andare incontro alle persone e intercettarne i bisogni: la gente compra soluzioni ai problemi, non soltanto oggetti.
Dobbiamo essere bravi anche noi: il web ha rimescolato le carte del marketing, facendo anche confusione.
Ed a volte gli esperti non fanno capire alle persone quale sia il vero problema, generando altra confusione».
Smuovere le acque per cambiare la cultura
Un libro che rappresenta un decalogo, ma può diventare anche punto di riferimento e di partenza per tante realtà imprenditoriali del Meridione.
Perché l’ennesimo libro.
«Io voglio restare al Sud, ho fatto una scelta precisa: in qualche modo, il libro nasce per innescare un dialogo, per smuovere le acque. In fondo, qualcosa di buono l’abbiamo anche noi, ma bisogna valorizzarlo. Nei miei incarichi di docenza incontro tante persone, soprattutto all’Ilas, e ho a che fare con tanti ragazzi che fanno i conti con un territorio ostile, in cui non si è sviluppata cultura digitale. E quando sento che vengono pagati 50 euro a settimana, mi girano.
Vengono trattati come gli ultimi arrivati e la professione non viene riconosciuta. Ecco da dove nasce questo libro».