In uno scenario futuristico verrebbe da dire che i copy non avranno più bisogno dei creativi e dei grafici per generare immagini, le aziende non avranno più bisogno dei copy per generare testi, le persone non avranno più bisogno delle aziende ma solo di una sola azienda capace di offrire tutto.
Da decenni si parla degli effetti dell’informatica sul mercato del lavoro e a lungo si è ritenuto che la digitalizzazione – o come si diceva una volta, l’automazione – avrebbe inevitabilmente distrutto posti di lavoro. Si pensava che ci sarebbe stato un terremoto: alcuni lavori sarebbero stati distrutti e altri creati ex novo; certi mestieri sarebbero scomparsi e ne sarebbero sorti di nuovi.
In verità, le macchine artificiali hanno bisogno delle persone.
Sono i nuovi operai del digitale, schiere di operai che, sorvegliati dai robot, svolgono minuscoli segmenti del lavoro che un tempo rendeva orgogliosi gli esseri umani che li svolgevano.
Nel nuovo mondo del lavoro il robot non è un collega, è il padrone.
Dal lato dei fruitori, bisognerà sempre comunicare alle persone, quindi serviranno sempre esperti per generare testi, immagini e creatività.
Solo che non lo faranno da soli e non ci metteranno più tanti giorni, ma poche ore o pochi minuti. Questo significa che la società si evolverà più velocemente, sbaglierà più velocemente e imparerà più velocemente dagli errori. E questo si chiama progresso.
Ma la domanda è: ma siamo davvero sicuri che quello che porterà il progresso è qualcosa di buono? A mio avviso, tra tanti contenuti che spariranno, nel tempo ovviamente, i siti web saranno i primi.
Forse gli utenti prenderanno tutto dai motori di ricerca “arricchiti” con le AI. I siti saranno sostituiti da generatori di feed che i sistemi analizzeranno, quindi niente di diverso da gestionali di contabilità con funzionalità di catalogo.
È la vera mediazione. Le società come Google medieranno le informazioni ancora di più.
Quale sarà il lavoro dei community manager? Il futuro della moderazione, l’integrazione sempre più spinta di OpenAi che ha di recente chiuso accordi di collaborazione notevolissimi, consentono di intervenire, analizzare e suggerire modelli di risposta sulla base dei commenti degli utenti.
E’ chiaro che non siamo pronti per un’automazione completa ma ci arriveremo.
Una cosa non cambierà, l’ineffabilità dell’essere umano.
L’algoritmo di intelligenza artificiale potrà migliorare molto ma il senso è, ognuno di noi vive conflitti tra io e inconscio. Non tutti possono dire di conoscersi bene, potrà mai un algoritmo conoscerci meglio di quanto noi ci conosciamo? Francamente non credo.
Potrà interpretare l’intenzione di ricerca ma difficilmente potrà intuire la reale motivazione.
In fase di ricerca potrei usare una frase abitualmente usata da altre persone per altri scopi.
Facciamo un esempio. Se ho bisogno di fare il tagliando alla mia auto, probabilmente scriverò “officina autorizzata Audi”. Probabilmente esisterà un meccanico in cerca di lavoro che userà la stessa parola chiave “officina autorizzata Audi”. Il primo vuole sistemare l’auto prima di partire per le ferie, il secondo sta cercando lavoro. La frase è la stessa, cambia la motivazione.
Lo scopo del Customer Mindset è trovare la motivazione a monte, non a valle, non quando l’utente sta già cercando, al fine di trovare nuovi modi per potersi posizionare.
Non è un lavoro facile ma con metodo e dedizione è possibile ottenere risultati straordinari.
Il primo esercizio è molto complesso, tenetevi pronti perché è un segreto: parlare con le persone, dal vivo, chiedendo a queste quali sono le motivazioni che spingono a cercare, volere, desiderare e quali sono i bisogni che intendono risolvere.
La puntata di questa settimana è particolare, ho intervistato Fabrizio Trentacosti, che si occupa da tanti anni di digital marketing, precursore di Fabebook (trucchifacebook.com) dall 2009, oggi investitore e digital manager per diverse aziende, tra cui Bridgestone Italia.
Ho chiesto a Fabrizio cosa pensa della ricerca sugli utenti.
Potete ascoltare la puntata a questo link
Alla prossima!