Disclaimer: Nella scrittura di questo articolo sono stato molto cauto e prudente.
Niente dissertazioni sul futuro delle aziende che non si deciderà tra analogico e digitale, ma nella capacità di abitare le contraddizioni.
Non parlerò di vendita di prodotti e vuoto esistenziale.
Non scriverò nulla sui social come Far West, cioè un territorio senza legge dove le aziende possono diventare leggende o morire nel giro di una notte.
Nulla sulle nuove prigioni, dove le stesse piattaforme che permettono miracoli controllano il flusso vitale dei dati, trasformando l’innovazione in una gabbia di vetro.
Infine, non racconterò nulla su quella che considero “apocalisse algoritmica”, dove le aziende diventano fantasmi in un ecosistema controllato da AI per un’economia di sintesi perfetta, dove il reale è obsoleto.
Buona lettura - José Compagnone
Il capitalismo dell'attenzione: il prodotto non basta più
I social network hanno spostato il baricentro del capitalismo dalla produzione di beni alla colonizzazione dell’attenzione. Un tempo, possedere il miglior prodotto sul mercato garantiva il successo di un’azienda; oggi, senza una strategia mirata per conquistare e mantenere l’attenzione, anche il brand più solido rischia di dissolversi nell’oceano digitale. Il mercato non risponde più alle leggi dell’offerta e della domanda tradizionali, ma agli algoritmi di TikTok, Instagram Reels e YouTube Shorts.
Morte del branding tradizionale
Nike e Coca-Cola non vendono più scarpe o bibite. Vendono identità fluide, che si modellano in base alle tendenze imposte dagli algoritmi. Il logo non basta più: il brand deve essere una narrazione in costante mutamento, un’esperienza che si adatta alle aspettative del pubblico digitale.
L’estetica delle campagne pubblicitarie è decisa dai trend del momento, in una corsa perenne a intercettare l’hype prima che svanisca.
Il micro-potere e la distruzione delle gerarchie
Oggi, un adolescente con 10 milioni di follower su Twitch ha un impatto economico maggiore di un CEO tradizionale. Il fenomeno delle “meme stocks” legato a GameStop lo ha dimostrato chiaramente: un esercito di piccoli investitori, coordinati su Reddit, ha mandato in crisi fondi speculativi multimiliardari. Il potere non è più solo nelle mani dei grandi gruppi industriali, ma è frammentato tra individui capaci di generare attenzione virale.
L’illusione della prossimità: intimità come commodity
Il feticismo della connessione
I social vendono l’illusione di una relazione diretta tra brand e consumatori. Starbucks usa chatbot per simulare empatia, mentre i dipendenti, ridotti a "content creator" aziendali, bruciano la loro creatività per produrre storie 24/7.
Ogni interazione deve sembrare autentica, anche quando è costruita artificialmente.
Dittatura del feedback
La relazione tra cliente e azienda non è più unidirezionale. Yelp e X.com trasformano ogni consumatore in un giudice permanente. Un singolo errore diventa virale e impone una coreografia del consenso: ogni brand è costretto a monitorare costantemente il sentiment online per evitare il rischio di una crisi reputazionale. La debacle di United Airlines nel 2017 lo ha dimostrato: un video virale ha fatto crollare il titolo azionario della compagnia nel giro di poche ore.
L’algoritmo come nuovo Leviatano
Democrazia dei dati?
Shopify permette a piccoli brand di competere con Amazon, ma solo finché pagano il pedaggio agli algoritmi di Meta. Non esiste più un mercato libero: le aziende devono trattare con le piattaforme come vassalli in un feudo digitale. Chi può permettersi di pagare per visibilità sopravvive; gli altri scompaiono.
Schizofrenia strategica
Netflix usa X.com per testare serie TV, ma i dati generano un circolo vizioso: le produzioni finiscono per essere copie conformi delle tendenze del momento. Il flop di "Q-Force", nonostante l’hype legato ai temi LGBTQ+, ne è un esempio. Il pubblico digitale ama le novità, ma odia la ripetizione. Il rischio? Un’industria culturale omologata che insegue i trend senza più creare vere innovazioni.
Il Grande Gioco: tra utopia e distopia
Il capitalismo della sorveglianza
Facebook Marketplace e Instagram Shops trasformano ogni scroll in un atto d’acquisto. L’e-commerce social-first richiede alle aziende una resa totale ai dati: un brand non è più solo un venditore di prodotti, ma un organismo digitale che respira algoritmi.
Ribellione del reale
Tuttavia, il flop marketing si sta trasformando in una nuova forma di autenticità. Patagonia ha saputo sfruttare TikTok con video autentici sui difetti dei propri prodotti, ribaltando le logiche della comunicazione corporate.
In un’epoca di filtri e finzioni, l’imperfezione diventa la nuova strategia vincente.
Il futuro: neo-feudalesimo digitale o rinascita umanistica?
Scenario 1: vassalli delle piattaforme
Le aziende USA diventeranno feudi di Zuckerberg e Musk, pagando con dati e libertà creativa per accedere alla visibilità. Il mercato non premierà più chi innova, ma chi riesce a decifrare meglio le regole degli algoritmi.
Scenario 2: la filosofia come strategia
Una nuova generazione di CEO-filosofi, come Marc Benioff di Salesforce, potrebbe usare i social non per vendere, ma per creare ecosistemi di senso. Il valore di un brand non sarà più misurato solo dalle vendite, ma dalla capacità di costruire comunità basate su valori condivisi.
I social network come cattedrali digitali
I social non sono più strumenti di marketing, ma spazi sacri dove si celebrano riti di consumo. TikTok Shop può far esplodere le vendite di un prodotto prima ancora che l’utente abbia riconosciuto il proprio bisogno.
Un video di 15 secondi di una teenager che sbuccia un avocado può far schizzare le vendite del 300%, non per merito del prodotto, ma perché l’algoritmo ha identificato un’ansia collettiva: il bisogno di normalità in un mondo caotico.
Un ansia collettiva, normalità nel caos totale.
Le aziende non competono più per quote di mercato, ma per diritti di preghiera nell’attenzione degli utenti. Meta vende indulgenze digitali (boost, ads) per chi desidera accedere al paradiso della visibilità.
Il capitalismo dell’estasi breve
I like, le condivisioni, i meme sono pura dopamina sintetizzata. Wendy’s su X.com non vende solo hamburger, ma appartenenza a una tribù digitale. Le aziende sono ormai spacciatori di engagement, e devono gestire crisi reputazionali in tempo reale. Un tweet sbagliato può far crollare un brand, ma una provocazione ben calibrata può trasformare un prodotto in un culto (vedi Liquid Death, l’acqua in lattina diventata fenomeno di costume).
Conclusione: chi erediterà il futuro?
I social network sono lo specchio distorto del capitalismo americano: amplificano il genio innovativo ma ne esacerbano le contraddizioni. La sopravvivenza delle aziende non dipenderà dalla tecnologia, ma dalla capacità di rispondere a una domanda antica: cosa significa essere umani in un mondo dove ogni relazione è mediata da un algoritmo?
Chi saprà trasformare i "like" in legami autentici erediterà il futuro. Gli altri diventeranno rumore digitale.
grazie.