Il futuro dei Brand è nelle CrowdCulture
Mi chiedo spesso come si possa evolvere un brand nel tempo.
Per avere un vantaggio, molte aziende emulano il modello di innovazione perfezionato nel settore tecnologico.
Procter & Gamble, ad esempio, persegue quella che chiama “interruzione costruttiva”.
L'azienda ha progettato il suo processo di innovazione come quello di una start-up, con un venture lab che attira imprenditori tecnologici e un processo di prototipazione snello "prova e impara".
L'approccio di "interruzione costruttiva" adottato da Procter & Gamble rappresenta un modello di innovazione che mira a rinnovare e trasformare attivamente i mercati e le categorie di prodotti esistenti. Questo concetto si concentra su alcuni aspetti chiave:
Innovazione Continua: Si tratta di un processo in cui l'azienda si impegna costantemente a sviluppare nuovi prodotti, servizi o processi che possono cambiare le regole del gioco nel loro mercato.
Risposta ai Bisogni dei Consumatori: L'interruzione costruttiva prevede l'identificazione e la comprensione approfondita dei bisogni dei consumatori, anche quelli non ancora pienamente riconosciuti o soddisfatti dal mercato. L'obiettivo è anticipare e creare tendenze, non solo rispondere a esse.
Collaborazione Esterna: Procter & Gamble, nell'ambito di questo approccio, spesso cerca di collaborare con imprenditori, start-up, e altre entità esterne per infondere nuove idee e tecnologie nei loro processi. Questo apre le porte a una varietà di innovazioni e prospettive che potrebbero non emergere internamente.
Rapidità nella prototipazione nel Testing: Un elemento chiave dell'interruzione costruttiva è il rapido sviluppo di prototipi e il loro testing nel mercato reale. Questo approccio "prova e impara" permette all'azienda di testare le idee in modo agile e di adattarsi rapidamente in base al feedback dei consumatori.
Questo approccio all’innovazione continua a perdere in termini di efficacia, anno dopo anno
La realtà è che nella maggior parte dei mercati di consumo, l’innovazione è un processo lento e incrementale. Le principali innovazioni di P&G, come il pannolino intelligente Pampers che segnala quando è necessario un cambiamento non sono mai decollate e con esse centinaia di nuove idee intraprese dai brand alla ricerca di nuovi mercati.
Quando le aziende si spingono oltre, raramente ottengono buoni risultati. Prendiamo ad esempio Coca-Cola, che da tempo dà la priorità alla creazione di un business nel settore del caffè. Dopo anni di ricerca e test, i piani aziendali hanno fallito.
Per innovare potrebbe servire altro
Nei mercati di consumo, l’innovazione spesso procede secondo una logica che Douglas Holt chiama innovazione culturale. Quello che Starbucks, Patagonia, Jack Daniel's e Ben & Jerry's hanno capito in tempo.
Quando questi marchi hanno sfondato, i consumatori li hanno visti come innovazioni importanti perché le persone hanno risposto all'ideologia del marchio, una rivisitazione della categoria che ha trasformato la proposta di valore.
Le innovazioni culturali si vedono nei prodotti o servizi distintivi, ma anche nei discorsi dei fondatori, nel packaging, negli ingredienti, nel design della vendita al dettaglio, nella copertura mediatica e persino nella filantropia.
Il risultato? Questi marchi vincenti non competono nella corsa alla proposta di valore, cercando di guidare la categoria come viene attualmente definita; giocano a un gioco diverso.
Questi brand hanno cambiato la comprensione di ciò che è considerato prezioso.
Spesso la questione non è tecnologica, è sicuramente strategica e qui c’entra la cultura.
Molti Brand storici sono così determinati a vincere la gara come “migliore” nella propria categoria che non riescono a identificare le crepe nelle sue fondamenta.
Gli innovatori culturali li superano in astuzia perché cercano opportunità per far saltare l’ideologia dominante a favore di un nuovo regime. Pertanto, affinché gli operatori storici possano innovare, dovranno adottare un nuovo modo di pensare.
I social svalutano il tuo brand
I social media avrebbero dovuto inaugurare un’età d’oro del branding. Ma le cose hanno preso una piega differente.
Inizialmente gli esperti di marketing pensavano che Facebook, YouTube e TikTok avrebbero permesso loro di bypassare i media tradizionali e di connettersi direttamente con i clienti. Sperando di attirare un vasto pubblico verso i loro marchi, hanno speso miliardi per produrre i propri contenuti creativi. Ma questo è servito a poco.
La comunicazione social della maggior parte dei brand che conosciamo è abbastanza fallimentare. Le piattaforme social sono viste come vetrine di un grande edificio molto frequentato, i post come “poster pubblicitari” appiccicati nelle vetrine e sulle pareti, tutti proponenti gli effetti miracolosi delle proposte per i consumatori.
I social media, nei piani iniziali, avrebbero dovuto consentire alle aziende di scavalcare i media tradizionali e creare relazioni direttamente con i clienti.
Le aziende hanno investito miliardi per perseguire questa visione. Eppure sono pochi i brand che hanno suscitato un significativo interesse da parte dei consumatori online.
In effetti, i social media sembrano aver reso i marchi meno significativi.
Pacco, doppio pacco e contropaccotto
Da un lato abbiamo quindi i brand che insistono sul fatto che il contenuto brandizzato è una novità, in realtà è una reliquia dell'era dei mass media che è stata riconfezionata come concetto digitale.
Agli inizi, le aziende prendevano in prestito approcci dall’intrattenimento popolare per rendere famosi i loro marchi, utilizzando narrazioni in forma breve, trucchi cinematografici, canzoni e personaggi empatici per conquistare il pubblico, far diventare i prodotti popolari e divertire le persone.
Questa prima forma di contenuto brandizzato funzionava bene perché i media di intrattenimento erano oligopoli, quindi la competizione culturale era limitata.
Negli Stati Uniti, tre reti producevano programmi televisivi per circa 30 settimane ogni anno e poi andavano in replica.
I film venivano distribuiti solo attraverso le sale cinematografiche locali; allo stesso modo, la concorrenza tra le riviste era limitata a ciò che si trovava sugli scaffali dei negozi. In Italia, con qualche decennio di distanza, è successa la stessa cosa.
Le società di marketing al consumo hanno generato vantaggio nel collocare i marchi in questa arena culturale strettamente ristretta e controllata.
I brand si sono anche infiltrati nella cultura sponsorizzando programmi televisivi ed eventi, attaccandosi a contenuti di successo. Poiché i fan avevano un accesso limitato ai loro artisti preferiti, i marchi potevano fungere da intermediari.
Per decenni siamo stati abituati alle catene di fast food che sponsorizzavano nuovi film di successo, agli orologi di lusso che ci portavano al Roland Garros e ai marchi giovanili che appoggiavano band e festival.
L’avvento delle nuove tecnologie che hanno permesso al pubblico di rinunciare alla pubblicità – dalle reti via cavo e poi a Internet – ha reso molto più difficile per i marchi acquistare fama, costringendolo a competere con il vero intrattenimento.
Quindi le aziende hanno alzato la posta, cominciando a interferire con i cortometraggi e il cinema, contattando i migliori registi mondiali e a spingere verso produzioni sempre più spettacolari.
Questi primi sforzi digitali (pre-social-media) hanno portato le aziende a credere che se avessero distribuito creatività di livello hollywoodiano alla velocità di Internet, avrebbero potuto raccogliere un enorme pubblico coinvolto attorno ai loro marchi. Nasce così la grande spinta verso i branded content. Ma nonostante tutti gli sforzi e gli ingenti budget, nulla è servito a competere con la crowdculture, quest’onda gigante che arriva dai contenuti generati dalle persone comuni, per le persone comuni.
L’ascesa della crowdculture
Storicamente, l’innovazione culturale proveniva dai margini della società, dai movimenti sociali e circoli artistici che sfidavano le norme e le convenzioni tradizionali. Le aziende e i mass media hanno agito come intermediari, diffondendo queste nuove idee nel mercato di massa. Ma i social media hanno cambiato tutto.
I social media uniscono comunità che un tempo erano geograficamente isolate, aumentando notevolmente il ritmo e l’intensità della collaborazione. Ora che queste comunità un tempo remote sono densamente interconnesse, la loro influenza culturale è diventata diretta e sostanziale. Queste nuove culture di massa si presentano in due forme: le sottoculture, che incubano nuove ideologie e pratiche, e i mondi dell’arte, che aprono nuovi orizzonti nell’intrattenimento.
Dove puoi incontrare l’innovazione culturale? Per esempio alla Biennale di Venezia che è una fondazione culturale italiana con sede a Venezia. Attiva prevalentemente nelle arti figurative - ma anche nella musica, nel cinema, nel teatro, nell'architettura e nella danza - è considerata la più importante fondazione culturale nel suo genere in Italia e fra le più rilevanti al mondo che trovo straordinariamente stimolante e alla quale riconosco un ruolo di grande prestigio nell’influenza culturale internazionale.
Sottoculture amplificate
In giro è possibile trovare comunità piccole, medie e grandi che si occupano di tantissimi argomenti, agendo come attrattore per le culture collettive più disparate che vanno dalle rigenerazioni urbane, al fai da te, alla stampa 3d, gli anime e la cucina molecolare.
In passato, questi subculturalisti dovevano riunirsi fisicamente e avevano modi molto limitati per comunicare collettivamente: riviste e, più tardi, incontri molto difficili da organizzare.
I social media hanno ampliato e democratizzato queste sottoculture. Con pochi clic puoi saltare al centro di qualsiasi sottocultura e assistere a una contaminazione capace di valicare gli spazi, da digitale a fisico e tradizionale. Queste comunità stanno generando e portando avanti idee, prodotti, pratiche aggirando i guardiani della cultura di massa. Con l’avvento della crowdculture, gli innovatori culturali e i primi mercati che li hanno adottati sono diventati la stessa cosa.
Mondi che collidono
Gli sforzi collettivi dei partecipanti a queste “scene contemporanee” spesso generano importanti scoperte creative. Prima dell’avvento dei social media, le industrie della cultura di massa (cinema, televisione, carta stampata, moda) prosperavano rubando e riproponendo le loro innovazioni.
La crowdculture ha guadagnato terreno, aumentando notevolmente il numero di partecipanti, la velocità e la qualità delle loro interazioni. Milioni di imprenditori culturali si riuniscono online per affinare la propria arte, scambiare idee, mettere a punto i propri contenuti e competere per produrre successi. L'effetto finale è una nuova modalità di prototipazione culturale rapida, in cui è possibile ottenere dati istantanei sulla ricezione delle idee da parte del mercato, farle criticare e quindi rielaborarle in modo che il contenuto più risonante emerga rapidamente. Nel processo emergono nuovi talenti e si formano nuovi generi. Inseriti in ogni angolo della cultura pop, i nuovi contenuti sono altamente in sintonia con il pubblico e prodotti a buon mercato.
Queste culture di massa stanno mettendo i contenuti dei brand in un angolo.
Qualcosa è andato storto.
Il problema è che i social media hanno trasformato il modo in cui funziona la cultura, ha unito comunità un tempo isolate in influenti culture di massa. Holt la chiama Crowdculture e i loro membri producono i propri contenuti, così bene che le aziende semplicemente non possono competere.
Nell’era di Tiktok, la costruzione del marchio è diventata una sfida complicata. I brand hanno assunto agenzie creative ed eserciti di tecnologi per inserire i marchi in tutto l’universo digitale. Nonostante tutto il budget bruciato, nulla è cambiato in meglio.
La crescita dei social ha causato cambiamenti nel rapporto consumatore-marchio. I consumatori, alla ricerca di autenticità e diffidenti nei confronti delle promesse del marchio, si riferiscono a persone care, individui o gruppi che li ispirano fiducia prima di prendere una decisione di acquisto.
Inversione di tendenza, potere al popolo
Le nuove generazioni e le nuove tecnologie hanno demolito i rapporti di intermediazione, potendo generare contenuto da soli, ognuno a modo suo.
La storia inizia con le sottoculture giovanili che si sono formate attorno ai videogiochi. Quando sono sbarcati sui social media, sono diventati una forza. La sottocultura, un tempo stravagante, dei videogiochi come intrattenimento della Corea del Sud è diventata globale, producendo uno sport di massa per gli spettatori, ora noto come E-Sports, con una base di fan che si avvicina ai 100 milioni di persone.
Quanti di voi conoscono wattpad e le fanfiction?
Questa è la storia di Anna Todd
Anna, una giovane di 18 anni, sposata con un soldato, si annoiava nella caserma in cui viveva. Per occupare il suo tempo e sfuggire alla solitudine, si è iscritta ad account Instagram che pubblicavano fanfiction sui boyband preferiti dalle ragazze. Ispirata dalle sue letture, ha finalmente fatto il grande passo e ha creato un personaggio maschile basato su Harry Styles, il leader del gruppo One Direction.
Inizia a pubblicare un capitolo al giorno sulla piattaforma social Wattpad che consente agli utenti di condividere, dai propri smartphone, le proprie creazioni e di trarre ispirazione dai commenti dei propri lettori per dare forma al resto della propria storia. Dopo pochi mesi gli episodi di Anna furono scaricati da milioni di persone. Intorno a lei si è creata una vera e propria community di appassionati di fanfiction. Le storie di Anna sono diventate un movimento e hanno dato vita a un romanzo in più volumi, letto da milioni di persone in tutto il mondo. Oggi Anna Todd ha un contratto multimilionario con una casa editrice e il suo romanzo di finzione “After” è stato adattato in un film.
La commedia videoludica è solo uno delle centinaia di nuovi generi creati dalla crowdculture. Questi generi colmano ogni lacuna immaginabile dell'intrattenimento nella cultura popolare.
I marchi non possono competere, nonostante i loro investimenti.
Dal punto di vista pratico, la pubblicazione sui social aziendali viaggia spesso per il tramite del famoso “piano editoriale” che serve a usare il canale social aziendale come se fosse un palinsesto. Questa prassi semplicemente non ha senso, non è utile e non diverte le persone. Il fatto che una persona acquisti un nuovo deodorante non farà della stessa persona un fan del deodorante, in tutte le sue forme e varietà. Per quanto un brand possa raccontarsi al pubblico, i post che saranno generati per parlare del prodotto non saranno capaci di generare interesse e nuovi acquisti, annoieranno sempre più le persone.
Lo sviluppo della cultura collettiva
Gli esseri umani si sono sempre organizzati in clan, tribù, comunità unite dalla stessa cultura, religione, politica, sport, musica, cause, ecc. Internet e i social media hanno rafforzato questo bisogno di appartenenza allo sviluppo delle comunità online rimuovendo le barriere geografiche.
I social media sono diventati anche piattaforme di espressione per gruppi precedentemente emarginati (movimenti artistici, culturali, ideologici). Hanno democratizzato e sviluppato sottoculture. In precedenza, le persone dovevano riunirsi fisicamente con mezzi limitati per comunicare su argomenti di nicchia. Ora ci sono comunità che trattano quasi ogni argomento: manga, veganismo, pannolini, e-sport, fai da te, ecc. Grazie ai social media, questi gruppi si diffondono in tutto il mondo, permettendo alle persone di interagire e condividere idee, prodotti, pratiche. Questa è la crowdculture.
I social media hanno consentito alle comunità minoritarie di diventare fonti attive di influenza rendendole visibili e dando loro riconoscimento sociale. Portano un messaggio volto a creare nuovi comportamenti o modificare comportamenti esistenti, provocando cambiamento e innovazione.
Queste comunità producono e creano contenuti che coinvolgono e mettono in contatto le persone. Più autentici, sono diventati veri e propri concorrenti per i contenuti prodotti dai brand.
I brand lo hanno capito bene e non potendo competere, collaborano con questi creatori di contenuti per beneficiare dei valori loro attribuiti e aumentare l’impatto dei loro messaggi.
Questo è uno dei motivi che spiegano l’enorme potenziale del mercato dell’Influencer Marketing.
A titolo esemplificativo pubblico la lista delle 8 personalità più seguite su Tiktok
Khaby Lame – 160,3 M
Charli D’Amelio – 150,8M
Bella Poarch – 92,7M
Addison Rae – 88,6M
MrBeast – 83,5M
Zach King – 77.3M
Kimberly Loaiza – 75.4M
Will Smith – 73M
TikTok – 73M
Cznburak – 71.5M
Con budget di marketing inferiori, i contenuti relativi alla cultura e all’intrattenimento creano più trazione rispetto a quelli dei marchi.
La sfida per i brand oggi è quella di sfruttare queste sottoculture per creare contenuti che siano significativi e siano in sintonia con i consumatori. Il brand si trasformerà quindi in un vero portavoce e agente culturale al di là dell'aspetto commerciale.
Questo può aiutare, ma c’è il risvolto della medaglia.
Il brand può ingaggiare l’artista pagando i suoi contenuti, il valore che dovrebbe invece essere trasmesso dall’artista verso il brand non esiste. O meglio, è poco probabile che il brand possa diventare “social” solo perché adottato da un influencer.
Dov’è la via d’uscita?
Nel branding culturale, il marchio promuove un’ideologia innovativa che rompe con le convenzioni di categoria. Per fare ciò, è necessario innanzitutto identificare quali convenzioni scavalcare, che è un modo diverso per dire “cosa è davvero importante per la gente?”
I brand necessitano di trovare nuove opportunità culturali per sopravvivere
Per fare branding in modo efficace con i social media, le aziende dovrebbero prendere di mira le culture di massa invece di seguire le tendenze, cosa che migliaia di aziende stanno cercando di fare. Prendendo di mira nuove ideologie che emergono dalle culture di massa, i marchi possono affermare un punto di vista che si distingue nell’ambiente sovraffollato dei media.
Gli impatti più importanti dei movimenti sociali sono spesso culturali.
Invece di trattare la cultura come una sfera sociale separata dalla politica e dall’economia, è possibile ragionare in modo inclusivo rispetto a tanti altri ambiti. Il mio gruppo d lavoro esamina costantemente le recenti ricerche sugli impatti dei movimenti sull'opinione pubblica e sul comportamento quotidiano, i media e la cultura popolare le istituzioni non politiche come la scienza, la medicina e l'istruzione.
Interpretare il presente, immaginare il futuro
I movimenti cambiano il modo in cui viviamo e lavoriamo. Rendono alcuni comportamenti socialmente inappropriati e altri nuovamente attraenti. Creano nuovi attori collettivi, alterano le linee di frattura sociale e trasformano ciò che conta, valorizzandola come nuova competenza.
Al di fuori dell’opinione pubblica misurata dai sondaggi, i movimenti influenzano le credenze, le identità e i comportamenti che modellano la vita quotidiana delle persone. Ad esempio, i movimenti degli anni ’60 hanno indubbiamente influenzato le norme relative al sesso e all’intimità (Yankelovich 1974), ma quei movimenti coincidevano anche con il crescente uso della pillola anticoncezionale e con la diffusione dei valori postmaterialisti (Inglehart e Norris 2003) che forse ha stimolato sia l'attivismo che nuove norme sessuali.
È più facile vedere cambiamenti nel comportamento quotidiano sulla scia di norme o leggi influenzate dai movimenti culturali, come l'incoraggiamento da parte del movimento LGBTQ+ delle persone a smettere di nascondere la propria identità sessuale e a dichiararsi pubblicamente.
Ho conosciuto di recente un gruppo di persone che agisce su scala locale come changemaker nella crowdculture.
Collettivo Pessoa: Un Ponte tra Arte, Ecologia e Comunità
In un'epoca dove l'innovazione e la sostenibilità si intrecciano sempre più strettamente con l'arte e la cultura, il Collettivo Pessoa emerge come un faro di ispirazione. Questo gruppo multidisciplinare, radicato nell'ideale di un futuro più sostenibile e integrato, sta ridefinendo i confini tra arte, ecologia, cultura e innovazione. Ok, vediamo in che modo.
Occupazioni Temporanee per la Trasformazione Urbana
Il Collettivo Pessoa si dedica alla trasformazione degli spazi urbani dimenticati. Attraverso l'occupazione temporanea, questi luoghi vengono trasformati in piccole utopie, dove la creatività e l'innovazione si fondono per generare nuove pratiche urbane. Questo non è solo un esercizio artistico, ma una missione per avviare processi di cambiamento a lungo termine nelle città.
Costruire con e per le Comunità
Fondamentale è il loro approccio alla progettazione partecipata. Il Collettivo lavora a stretto contatto con le comunità locali, sviluppando progetti che rispecchiano i sogni e i desideri delle persone. Questi progetti partono dal basso, coinvolgendo attivamente i cittadini nel processo creativo e decisionale, rafforzando così il legame tra l'arte e la vita quotidiana.
Ecosistemi Circolari e Sostenibilità
Il loro impegno per la sostenibilità è evidente nel loro approccio agli ecosistemi circolari. Ogni progetto del Collettivo Pessoa è un esempio di come le pratiche quotidiane - mangiare, bere, costruire, condividere - possano essere reinventate in chiave sostenibile. Utilizzano materiali di recupero e adottano principi dell'economia circolare per ridurre l'impatto ambientale.
Un Approccio Interdisciplinare
Il Collettivo abbina con audacia saperi e discipline diverse, come filosofia, architettura, diritto e arte. Questo approccio interdisciplinare non solo arricchisce i loro progetti, ma stimola anche un dialogo più ampio sulla funzione dell'arte e dell'innovazione nella società.
Il Potere Educativo del Gioco
Il Collettivo Pessoa vede il divertimento e il gioco non come una fuga dalla realtà, ma come strumenti potenti per l'educazione e la sensibilizzazione. Attraverso esperienze ludiche, riescono a trasmettere messaggi complessi in modo più efficace, rendendo l'apprendimento un'esperienza memorabile e coinvolgente.
Ecco i temi importanti sui quali lavorare nei prossimi 2 anni.
Sostenibilità e Ambiente
Diritti Umani e Lavoro Etico
Diversità e Inclusione
Innovazione e Tecnologia
Salute e Benessere
Localismo e Autenticità
Digitalizzazione e Social Media
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