La nostra innata curiosità, la spinta a capire il mondo e a soddisfare bisogni piccoli o grandi, si è trasferita ormai quasi del tutto nell’universo digitale.
In ogni momento della giornata – mentre navighiamo tra social, video, ricerche e negozi online – trasformiamo domande, dubbi e desideri in azioni concrete: un clic, uno swipe, talvolta un acquisto che arriva all’improvviso.
Il modo in cui cerchiamo risposte si è evoluto più velocemente di quanto ci rendiamo conto.
Oggi gli utenti saltano da Google a TikTok, da Maps a YouTube, lasciando tracce in foto, video e comandi vocali.
Google risponde con AI Overviews, ricerca conversazionale e funzioni come Circle to Search: il 15 % delle query quotidiane è del tutto nuovo, segno di domande sempre più complesse.
Eppure solo il 9 % dei marketer sfrutta l’AI in tutto il ciclo creativo, mentre chi lo fa ottiene vantaggi notevoli: Volvo, con campagne AI-driven, ha generato +47 % di lead e raddoppiato il ROI. Intanto le ricerche “near me” esplodono e TikTok diventa un vero motore di scoperta, tanto che gli annunci search sulla piattaforma spingono le conversioni di un ulteriore 20 %.
Per restare visibili serve passare dal semplice targeting di parole chiave alla lettura degli intenti, curare i segnali locali e presidiare i nuovi spazi di ricerca video. Il marketing “vecchia scuola” non basta più: l’AI è già qui e decide chi trova – e chi non trova – il cliente giusto, nel momento giusto.
Ci stiamo lasciando alle spalle le ricerche fatte con sequenze di parole in una finestra di ricerca: basta puntare la fotocamera su un oggetto, dettarne la descrizione con la voce o toccare un dettaglio su uno schermo per attivare un flusso istantaneo di informazioni.
Guarda questo, poi leggi il resto.
Quando Debbie Weinstein, presidente di Google per Europa, Medio Oriente e Africa, ha fotografato il frullatore di un’amica e, attraverso Google Lens, ha confrontato prezzi, letto recensioni e concluso l’ordine in meno tempo di un caffè, ha sperimentato in prima persona come la ricerca visiva trasformi la semplice curiosità in un percorso di acquisto intuitivo.
E non si tratta di un caso isolato: le ricerche “multimodali” – foto, video, voce – stanno crescendo al punto che il 15 % di ciò che gli utenti digitano (o pronunciano) ogni giorno su Google non era mai stato chiesto prima.
Le domande, insomma, diventano più ricche e più originali man mano che gli utenti capiscono di poter chiedere quasi qualunque cosa.
Per interpretare quei quesiti inediti serve un motore di comprensione avanzata: l’intelligenza artificiale.
Nelle sue prime incarnazioni l’AI automatizzava compiti ripetitivi, ma oggi le sue capacità si avvicinano alla sintesi e al ragionamento.
Strumenti come AI Overview o AI Mode analizzano miliardi di documenti in tempo reale e condensano il risultato in poche righe: puoi ottenere un confronto tra uno smartwatch e un anello intelligente focalizzato sul sonno, oppure un piccolo vademecum su come evitare i grumi nelle zuppe fatte col frullatore, senza dover aprire pagine e pagine di link. In altre parole, la macchina filtra il “rumore” e restituisce un significato pratico, contestuale, immediatamente azionabile.
Questo salto qualitativo si riflette già nei bilanci delle aziende che hanno abbracciato l’AI.
Volvo Cars è diventata un esempio emblematico: impostando campagne Google Ads con parole chiave ampie come “suv elettrico” e lasciando che gli algoritmi modulassero in tempo reale offerte e segmenti, il marchio ha intercettato oltre un milione di ricerche ad alta pertinenza, ha aumentato del 47 % i lead qualificati e ha visto raddoppiare il ritorno sull’investimento pubblicitario.
È un ROI del 100 % in più, un dato difficile da ignorare in un mercato dove l’attenzione dell’utente è diventata la risorsa più scarsa.
Eppure il quadro è ancora frammentato.
Solo il 9 % dei professionisti del marketing usa l’AI lungo l’intero ciclo creativo, dall’ideazione dei messaggi alla misurazione dei risultati, mentre un ulteriore 35 % la impiega in modo più limitato, per regolare il budget o fare A/B test più veloci.
La maggioranza fatica ancora a compiere il salto culturale: formare team trasversali in cui dati, creatività, legale e HR dialoghino senza barriere, mettere ordine nelle basi dati, definire regole di governance trasparenti e aggiornare i processi di approvazione.
Chi ci riesce, però, si muove con un vantaggio competitivo evidente. In uno studio congiunto BCG-Google, una compagnia assicurativa, adottando un motore AI per interpretare i test interni, ha ridotto l’analisi dei risultati da otto ore a trenta minuti e ha dimezzato i tempi di avvio delle campagne: una compressione del 94 % che si traduce in pubblicità più tempestive e in risposte più rapide alle esigenze dei clienti.
La posta in gioco è alta anche perché il percorso dell’utente è sempre più intricato: in media tocchiamo o siamo raggiunti da oltre 130 punti di contatto digitali ogni ventiquattr’ore, dal feed di un social a una notifica push, da un podcast all’email della newsletter.
Su un terreno così frammentato, i piani media lineari – “lancio, copertura, frequenza, fine campagna” – mostrano la corda. L’AI diventa allora un moltiplicatore di efficacia, capace di rimodulare budget, creatività e target quasi in tempo reale, di trasformare una montagna di dati in uno storytelling coerente e, soprattutto, di far emergere insight che l’occhio umano, da solo, faticherebbe a cogliere.
Per i Chief Marketing Officer il primo passo non è la tecnologia, ma la mappatura dei colli di bottiglia interni.
Dove perdiamo più tempo? Quali sono i processi ancora artigianali che l’AI potrebbe velocizzare? Quale porzione di dati rimane inutilizzata per mancanza di integrazione?
Rispondere a queste domande sblocca un circolo virtuoso – un “flywheel” – in cui dati migliori alimentano modelli più precisi, modelli più precisi generano campagne più performanti e campagne più performanti producono nuovi dati, in un ciclo di miglioramento continuo.
Debbie Weinstein afferma che “il futuro della ricerca è già arrivato” e perché, paradossalmente, il rischio maggiore non sia sperimentare troppo con l’AI, ma restare fermi mentre la concorrenza corre.
Quindi possiamo finalmente andare avanti e lasciarci alle spalle concetti come multicanalità, buyer persona e tante altre terminologie appartenenti a un mondo che non esiste più.